GABRIELE D’ANNUNZIO
Ovvero
IL FATIDICO VATE
Sigla: 2° Movimento Titano di GUSTAV MAHLER
(CONTINUA MUSICA + MARE+RISACCA+ GABBIANI+ VENTO)
D’ANNUNZIO:
Io vado per queste strade di città e percorro rive .Eccomi qua tra la gente che viene che va, ove son tristezze molte e bellezze di cielo e di contrada.
(SIRENA DI NAVE)
Un poeta ha le sue giornate
come tutti gli uomini…
passeranno via come nebbia
lenti e senza un grido
che diradi foschia..
NARRATORE:
11 settembre 1919
(Bach ‑ Fantasia in Sol Minore‑ BMV 542)
DANNUNZIO:
Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d’Italia ci assista. Mi levo dal letto febbricitante ma non è possibile differire. Ancora una volta lo spirito domerà la carne miserabile…
(Via Bach)
NARRATORE:
E’ l’alba dei 12 settembre 1919 ‑ (Sale rumore di autocarri e canti di soldati) Una colonna di 38 autocarri con duecento soldati a bordo guidati da 20 ufficiali si muove da Ronchi; la guida una Fiat 501 rossa con dipinta su di una fiancata, la Santa casa di Loreto, protettrice degli aviatori; assiso su quell’auto con i suoi ufficiali di Stato maggiore, Gabriele D’annunzio. Aveva inizio l’impresa di Fiume.
(Sale rumore colonna).
La colonna attraversa Trieste semi addormentata e ignara. Sull’auto rossa il vate sta vergando alcune righe su un biglietto di carta giallina con la sua caratteristica scrittura puntuta. Piega il biglietto in quattro, fa segno di fermare all’autiere, ma con gesto imperativo fa procedere la colonna che lo segue. L’auto si accosta vicino ad un uomo che guarda stupito questo ufficiale non molto alto non molto giovane, profumato, con una leggera peluria quasi un sospetto di barba che scende imponendosi agilità dall’auto. Il vate gli consegna il biglietto. Gli dice un indirizzo e un nome ‑ nome di donna. Si fa ripetere nome e indirizzo, sale in macchina che parte rombando superando i camion.
(Cala rumore carri ‑ Sale notturno Chopin),
SVEVA:
Mia cara levigata Sveva, sto attraversando con i miei legionari la tua città che sarà sempre nostra. La storia mi chiama ad un appuntamento non più procrastinabile. Tornerò da te con la discrezione del segreto e con l’impeto dei profumato silenzio notturno. A presto fiore di confine. G.
(Sale il notturno di Chopin )
NARRATORE:
Dire di D’Annunzio è compito che fa tremare le vene e i polsi, non pare biografabile tanto complessa ne è la figura, tanto multiforme l’attività. Si è detto e si dirà intorno a lui. Eppure non si dirà tutto. Sì è perplessi anche nel cominciare: Gabriele D’Annunzio è nato a…il…Eh no! Sarebbe una meschinità, eppure anche per l’uomo consacrato all’immortalità esiste uno stato civile pensando al quale ecco balzare subito la leggenda dei nome di Rapagnetta… Possono ben mormorarla ancora gli ignari ed i maligni, perché alla volgarità di quel nome si è consegnato spesso tutto quanto di critico si osava concepire contro l’uomo e contro l’opera. Che successo per i suoi nemici potergli levare il bel nome sonante italianissimo stupendo che sa di vaticinio per applicargli invece l’altro i ignobile prosaico che sa di rapa. Parli l’atto di nascita……
(Bach ‑ Branderburghese n.4 in Sol Maggiore)
(Cala e resta in sottofondo)
DANNUNZIO:
L’anno 1863, il 13 marzo alle ore 16, avanti a noi Silla De Marinis sindaco e ufficiale dello stato civile di Pescara, provincia d’Abruzzo è comparso Don Camillo Rapagnetta, figlio del fu Carlo Vincenzo di anni 68, di professione proprietario, domiciliato in Pescara il quale ci ha presentato un maschio, secondo che abbiamo ocularmente riconosciuto ed ha dichiarato che lo stesso è nato da Donna Luisetta De Benedictis di anni 25, domiciliata in Pescara e Don Francesco Paolo D’Annunzio di anni 25, di professione proprietario, domiciliato in Pescara, nel giorno 12 dei suddetto mese, alle ore ore 8 nella casa di abitazione della puerpera. Lo stesso ha inoltre dichiarato di dare al fanciullo il nome di Gabriele.
(Sale musica ‑ Cala musica)
NARRATORE:
Come diavolo ha potuto nascere la confusione tra il nome paterno e quello dell’ottimo Don Camillo Rapagnetta?
(Chopin Notturno) (Resta in sottofondo)
SVEVA e DANNUNZIO:
Fiume 20 aprite 1920. Mio irraggiungibile Iris. I giorni dei Governatorato trascorrono monotoni, se pur sempre pieni d’ansia, particolarmente per la penuria di viveri e per il languidir dei porto e della città. Ma non langue la fede dei Fiumani. Dovunque, al sorgere del sommo sole o al calar dei Vespro, un mio gesto, un mio grido fa suscitar l’Eja, Eja, Eja alalà! Il giuramento si riconferma: Fiume o morte! E io mi riconfermo in te, Diana silente di questo Carso sanguigno ed eterno, dove tuonò il cannone lurco ed ora strombettano i disertori e i traditori dell’Italia nostra, là dal “porcile di Roma”. Perché tediarti, o ricoperta di genziana? Pura, tu sei Fiume e Trieste. L’Italia bella e madre che ci vide andare e restare sul Sabotino e il San Michele. Mater suspirosa, seno aulente di albo nutrimento…ma. Ora non più iris, genziana, ma quercia giovane e libera e con audacia sfidante i venti aspri della vita …lo mi auguro una immensa vittoria, io mi auguro di porgerti la fronte raggiante a un bacio sublime. Centomila baci con tutta l’anima. Tuo, tuo, sempre Gabriele. P.S. Impossibilitato a raggiungerti. Qui l’appuntamento con la storia, là a Trieste, quello sublime dell’eternità. E anche se fulgida, la storia transit …A prestissimo, agape divina, scortato da zefiri sereni a calar nelle tue solari insenature.
(Sale la musica)
NARRATORE:
I seguiti delle imprese leggendarie sono ormai fin troppo noti. Dall’ Italia giunsero altri volontari che, non avendo altro da dare, davano se stessi.
(Musica Avanti arditi) (Resta in sottofondo)
Erano in maggioranza giovani. Circolavano in maniche di camicia e calzoni corti coi pugnale infilato nella cintura alla maniera del comandante e costituivano quei pittoreschi manipoli di ardimentosi Uscocchi che con le loro scorribande corsare provvidero ai bisogni della città affamata dal blocco dei Governo Nitti.
DANNUNZIO:
E’ naturale che il mio gesto sia stato seguito da migliaia di combattenti che io abbia l’adesione di tutto il popolo santo puro, come puro sono io che l’ho compiuto. Vi ho guarda ti, vi ho contati, vi ho misurati, avete ora un sol volto e un solo sguardo. L’ideale gioventù d’Italia non può avere se non il vostro volto e il vostro sguardo. Gioventù fu la parola d’ordine nella più bella battaglia ellenica, amicale. Gioventù, è la parola d’ordine della più bella impresa italica a Fiume presentate le armi! La Patria è qui!
(Bach Preludio in Do Min. BWV 546)
NARRATORE:
Nel giugno 1920 il Ministero Nitti cadde e salì al potere Giolitti il quale agli occhi di D’Annunzio parve un mercante ancora più abbietto dei suoi predecessori. Il nuovo Governo infatti si accordava con il neo‑nato regno Jugoslavo firmando il 12 di novembre il trattato di Rapallo. L’Italia sacrificava le proprie aspirazioni sulla Dalmazia e dichiarava Fiume stato libero entro i limiti dell’Anticorpus separato. Giolitti voleva chiudere la pagina fiumana ed intimò al comandante ed ai suoi legionari lo sgombero entro il 23 dicembre. Nel frattempo il Governatore D’Annunzio dopo che l’affamata Fiume è diventata la mecca dei divorzi ed il primo sedicente Stato a riconoscere la Russia Sovietica, il 22 dicembre proclamava lo stato di guerra con l’Italia. E’ quasi natale.
(Musica “Tu scendi dalle stelle”)
SVEVA:e DANNUNZIO
Fiume 27 dicembre 1920. Incurante mi ero seduto oggi alle 15 e15 alla tavola a per lavorare con i miei ufficiali, quando una granata in direzione esatta è venuta ad interrompere il lavoro. Poteva decapitarmi e risolvere d’un tratto ogni controversia come pure ogni molestia del buon Governo del Re. Per sfortuna loro, mia Sveva, la testa di ferro è stata soltanto incisa. Essa ha la durezza dei ciottolo ben levigato dal torrente e il Dio degli eserciti mi ha detto Ti darò una fronte più dura delle fronti loro e mio sollievo, per Trento e Trieste, Dio non l’ha data so I tanto a me ma a tutti gli italiani di Fiume. Quarantamila teste di ferro. Possa il tuo seno lenire questo estremo italico insulto, Gabriele.
(Sale musica)
(Musica arditi)
NARRATORE:
Chiudiamo la pagina atroce il 18 gennaio 1921 il poeta parte da Fiume. Passa per Trieste…
(La musica sale e stoppa di colpo) (Musica Chopin)
DANNUNZIO:
Lasciami stare ancora un po’ qui. lascia che il mio capo ferito si ristori sul tuo seno.
SVEVA:
Vorrei un po’ d’acqua ho la gola secca.
D’ANNUNZIO:
Saranno tutte quelle sigarette che fumi.
SVEVA:
No è la bora che rinsecchisce gennaio e la mia gola.
D’ANNUNZIO:
(da lontano) Sveva le tubature sono gelate.
SVEVA:
Dammi dello Champagne.
D’ANNUNZIO:
Ancora?
SVEVA:
Il fatto che tu non beva e non fumi non ti autorizza a rimproverare gli altri.
D’ANNUNZIO:
Ma lo spirito deve dominare la carne miserabile.
SVEVA:
Ma dai Gabriele gusta l’ozio dell’esilio. Sembra quasi che i digiuni di Fiume ti abbiano ascetizzato.
D’ANNUNZIO:
Clausura … Silentium et Cilicium… Tu sei Ma donna povertà e sorella morte corporale.. Beata solitudine… Devo riordinare lo spirito turbato da eventi quali più grandi non ci furono nella storia contemporanea, quali certamente l’anima di un uomo ha patito…
(In sottofondo folle plaudenti, fanfare…cessa di colpo)
… Dov’è adesso il poeta?
(… è tempo di migrare etc)
SVEVA:
Ti fermi ancora qui a Trieste?
D’ANNUNZIO:
No, non voglio più vedere mari tempestosi, acque increspate, ma laghi silenti e una casa calda, profumata di sandalo, ovattata da tappeti, difesa da tende e cortine. Voglio così difendermi dal gelo, dal sole, dalla politica ……
SVEVA:
Anche dall’amore?
D’ANNUNZIO:
(Preso)… Proteggere il mio lavoro, i miei ricordi. Ho 60 anni. Sveva! Voglio difendermi, cingermi d’ostacoli, mura, stecconate e cancelli. Con la mia esperienza di trincerista….Poi , un bel pollaio con galli neri e galline bianche venute di Toscana, un pollaio modello. La vigna…Il giardino… cipressi …abeti… querce … allori! La casa sarà poco solida e bisognerà incatenarla…. inchiavardarla di ferro per viverci sicuri .
SVEVA:
Perché hai tanta paura della morte?
(Silenzio)
NARRATORE:
“Non più dentro le grigie iridi smorte. Lampo di giovinezza mi sorride; la giovinezza mia barbara e forte in braccio delle femmine s’uccide”
(Bora e finale)